Rendere protagonisti i colori!
Questo è il sorprendente esperimento narrativo di Marco Mazzanti, e ci
riesce benissimo, se fin dalle prime pagine si legge, ma soprattutto si
vedono le diverse sfumature che caratterizzano i personaggi attraverso
delle cromie.
Se poi prestiamo una maggiore attenzione,
nello svolgersi della lettura, nella nostra mente non si fissano i nomi
(troppo banali, nonostante la ricerca dell’autore nel panorama
geografico dell’Est, che diviene quasi una sua caratteristica): sono
nomi che non ci ritagliano il personaggio, perché di quell’individuo noi
ricordiamo soprattutto i suoi colori. Nulla di strano perciò, se
riacquistata la vista in maniera miracolistica, Dmtrj scelga di vivere
dipingendo, quasi un riprendersi quello che per troppi anni gli era
stato negato: essere il padrone dei colori, che distribuisce su carni
vive utilizzando non dei delicati pennelli, ma delle affilate lame di
coltelli.
La sensualità del romanzo trasuda da ogni
parola che viene scelta con cura dall’autore, affinché il lettore venga
assorbito dalla storia e ne viva con lei ogni progresso o affanno. Non
manca il contrasto fra i due opposti Dmtrj e Scile che saranno uniti da
una figura femminile Asja, bellissima, ma cieca e albina…e il romanzo
sembra ritornare all’inizio, in un eterno progredire e scoperta di
uomini-colori e uomini-non colori.
Il romanzo lascia uno strano languore di
spossatezza, come dopo una giornata al mare: e i ricordi si uniscono
alla salsedine che a volte rimane fra i capelli.
Considero questo romanzo un esempio di scrittura creativa ben lontana
dai soliti schemi, e considerando la giovane età dell’autore quando lo
scrisse, non posso che consigliarlo, soprattutto a chi volesse iniziare
un percorso maturo come scrittore.